Quaresima: perché io valgo
Bisognerebbe imparare a contemplare di più il Crocifisso, cosa che peraltro in Quaresima dovrebbe anche esserci più facile. Cristo in croce è ciò che ci dice che cosa siamo; guardare Cristo in croce ci permette di capire noi stessi. Perché in quell’immagine è racchiusa la verità più profonda, più sconvolgente e in assoluto più chiarificatrice del nostro essere: io valgo la vita di Cristo. Valgo la vita di Dio.
A me questa cosa fa impressione. Io sono uno per cui è valsa la pena che Dio morisse; e non mi sembra che Dio faccia le cose senza ragione. Quindi deve esserne proprio valsa la pena.
Oltre l’avermi creato, oltre l’essersi incarnato, oltre a tutti i miracoli piccoli e grandi fatti per me, Dio ha ritenuto che valesse la pena di morire per me. Io valgo la Sua vita.
Non so a voi, ma questo introduce in me un modo di guardare a me stesso del tutto nuovo, perché questo mio valere la vita di Dio mi carica di una responsabilità oltre ogni immaginazione. Dio in persona è morto per me: e io cosa ne faccio di tanta grazia? Non posso più nè illudermi di rispondere a me stesso della mia vita, nè tantomeno lamentarmi di qualcosa. Anzi, a questo punto devo dimostrare che ne sia valsa davvero la pena, di morire per me. Non posso mica sprecare una cosa così grossa.
Seconda considerazione, più difficile da accettare ma altrettanto sconvolgente, è il fatto che anche il mio prossimo vale la vita di Dio. Proprio quel rompiballe, quell’immorale, quella persona di cui non salverei nulla. Ecco, proprio per quello lì Dio ha valutato che valesse la pena di morire.
Uno dei due non ci ha visto giusto. E non credo che sia Dio.
Bisognerebbe imparare a contemplare di più il Crocifisso, cosa che peraltro in Quaresima dovrebbe anche esserci più facile. Cristo in croce è ciò che ci dice che cosa siamo; guardare Cristo in croce ci permette di capire noi stessi. Perché in quell’immagine è racchiusa la verità più profonda, più sconvolgente e in assoluto più chiarificatrice del nostro essere: io valgo la vita di Cristo. Valgo la vita di Dio.
A me questa cosa fa impressione. Io sono uno per cui è valsa la pena che Dio morisse; e non mi sembra che Dio faccia le cose senza ragione. Quindi deve esserne proprio valsa la pena.
Oltre l’avermi creato, oltre l’essersi incarnato, oltre a tutti i miracoli piccoli e grandi fatti per me, Dio ha ritenuto che valesse la pena di morire per me. Io valgo la Sua vita.
Non so a voi, ma questo introduce in me un modo di guardare a me stesso del tutto nuovo, perché questo mio valere la vita di Dio mi carica di una responsabilità oltre ogni immaginazione. Dio in persona è morto per me: e io cosa ne faccio di tanta grazia? Non posso più nè illudermi di rispondere a me stesso della mia vita, nè tantomeno lamentarmi di qualcosa. Anzi, a questo punto devo dimostrare che ne sia valsa davvero la pena, di morire per me. Non posso mica sprecare una cosa così grossa.
Seconda considerazione, più difficile da accettare ma altrettanto sconvolgente, è il fatto che anche il mio prossimo vale la vita di Dio. Proprio quel rompiballe, quell’immorale, quella persona di cui non salverei nulla. Ecco, proprio per quello lì Dio ha valutato che valesse la pena di morire.
Uno dei due non ci ha visto giusto. E non credo che sia Dio.