L’impiegato delle Poste
Tempo fa ho dovuto sbrigare una pratica per la quale sono dovuto andare fisicamente in un Ufficio Postale. Allo sportello a fianco al mio c’era una persona anziana, la quale stava vivendo la classica esperienza di frustrazione che tante volte, tutti noi, viviamo quando andiamo a sbattere contro la Pubblica Amministrazione.
La poverina doveva ritirare dei soldi (forse la pensione, forse qualcos’altro, ma di certo si capiva che di quei soldi aveva bisogno), ma si trovava spaesata e completamente fuori posto nelle pratiche burocratiche e nei mezzi tecnologici del caso, tanto che sembrava quasi in stato confusionale. Ma non era mancanza di lucidità: era solo in difficoltà, in una cosa oltre la sua portata (perché sì, per tanti anziani anche ritirare la pensione è diventata una cosa aliena, anche solo la firma sul pad è una cosa che destabilizza) e chi aveva davanti non aveva la minima voglia di esserle d’aiuto.
Certo, lo sportellista delle Poste passa la sua giornata a dar retta a un sacco di gente spesso scortese, che pretende, che non ha rispetto del suo lavoro, e di sicuro è una cosa logorante. Ma è il suo lavoro, e nulla giustifica il fatto che quello specifico signore trattasse con sufficienza, al limite dell’insulto, la povera vecchina. La quale a tratti non capiva cosa stava succedendo e cosa l’operatore le diceva, a tratti sembrava disperare, a tratti visibilmente subiva l’essere trattata dall’alto in basso.
Mentre compilavo i miei stupidi moduli, mi chiedevo tra me perché la vecchina non mettesse al suo posto quell’arrogante sportellista (avrei voluto farlo io per lei!), perché non piantasse un casino, o perché non se ne andasse sdegnata mandando tutti a quel paese. All’inizio ho pensato che fosse perché era troppo remissiva, perché era la parte debole in quella dinamica, ma poi ho capito che la ragione era un’altra: lei aveva bisogno dei suoi soldi. Senza farsi condizionare dall’arroganza dell’impiegato o dalla difficoltà della situazione, quella donna saggia ha agito secondo il suo scopo: era lì perché le conveniva, perché aveva bisogno di ricevere quei soldi.
Era una cosa difficile? Il contesto la metteva a disagio o la faceva sentire inadeguata? Lo sportellista che le doveva dare i soldi era uno stronzo e la trattava in modo offensivo? Pazienza. Lei aveva bisogno della sua pensione. Il resto poteva andare al diavolo, mica era lì per fare amicizia con lo sportellista. Era lì perché le serviva qualcosa.
Mi piace immaginarla mentre tra sé e sé, mandando giù tutto, pensa “peggio per te che sei così arrabbiato con la vita. Ma ho bisogno di te per avere la mia pensione”.
Ecco, ripenso a questo aneddoto ogni volta che sento qualcuno che orgogliosamente racconta di essersi allontanato dalla Chiesa, o di non andare più a Messa, o di non confessarsi più da anni, “perché i preti sono xyz“. E al posto di “xyz” metteteci tutte le cose – vere o calunniose, non è rilevante – che ogni giorno sentiamo dire dei preti, dei vescovi, dei cardinali, perfino dei papi. Dalle più piccole a quelle più abominevoli.
Ecco: chi dice “non vado più a Messa perché i preti sono degli ipocriti”, “non seguo più la Chiesa perché il Papa non è abbastanza teologo”, “se ci sono i preti pedofili allora il cattolicesimo è una balla” non ha capito niente. Ma proprio niente, nel senso che proprio ha mancato il punto. Fa come l’ipotetica vecchina che non va più alla Posta a ritirare la pensione “perché l’impiegato mi tratta male”. Brava. E chi ci perde? Forse l’impiegato si dispererà perché non ti vede più far la fila nel suo ufficio postale? Naturalmente l’unica che ci perde è lei, che rinuncia alla pensione perché non le piace il mezzo con il quale la può ottenere. E quando non avrà più soldi per fare la spesa, davvero potrà andare in giro a dire che è colpa dell’impiegato poco gentile?
Ragazzi, non scherziamo: l’insegnamento della Chiesa, il sacramento della riconciliazione, ricevere carnalmente il Corpo di Cristo (fino a introdurlo dentro di noi, a digerirlo fisicamente) sono la nostra unica possibilità di salvezza. Ma mica solo la salvezza eterna, quella cosa che ci sembra troppo lontana per essere un problema di cui occuparci oggi: parlo proprio della salvezza quotidiana, della possibilità di vivere una vita piena e felice, di alzarsi al mattino col desiderio di vedere cosa bolle in pentola oggi invece che con l’angoscia di una nuova giornata senza senso. Come mi dice sempre il mio direttore spirituale, la confessione frequente e l’eucarestia possibilmente ogni giorno sono la condizione necessaria per vivere, altrimenti andiamo allo sbando.
C’è gente, in tante parti del mondo, che questa cosa l’ha talmente chiara che rischia materialmente la vita ogni volta che va a Messa. E succede oggi, mica parlo delle persecuzioni dei romani. Gente che è disposta a lasciare orfani i suoi figli per non rinunciare all’unica cosa che può tenere insieme la vita che altrimenti andrebbe in pezzi.
Quando sento parlare delle “chiese vuote”, della crisi di fede, del calo delle vocazioni… mi si stringe il cuore non per i poveri preti che non sanno più a chi fare la predica. Non per “i numeri” della Chiesa, quasi fosse una multinazionale che perde clienti. Mi si stringe il cuore per tutte quelle – sempre più numerose – persone che rinunciano ad andare a ritirare la pensione perché l’impiegato delle poste non gli garba. E che finiranno per morire di fame, e non si renderanno nemmeno conto che accade perché non hanno soldi, e che quei soldi erano lì ad aspettarli, bastava andare a prenderli ogni volta che potevano.
Poi ovvio che la Chiesa non è un ufficio postale, che la fede non è un bollettino e che i sacramenti non sono l’assegno mensile della pensione. Ma soprattutto che i preti/vescovi/papi non sono semplici impiegati che dispensano ciò di cui abbiamo bisogno. E questo rende più drammatica la responsabilità di chi, nella Chiesa, tradisce la sua missione. Ma il punto resta lo stesso: non è affar nostro se il prete è uno stronzo: quella assoluzione, quell’eucarestia, quell’unzione, non ce la facciamo togliere da nessuno. Nemmeno dai terroristi col mitra, figuriamoci dalla simpatia del sacerdote o dalla sensibilità del Papa.
Tempo fa ho dovuto sbrigare una pratica per la quale sono dovuto andare fisicamente in un Ufficio Postale. Allo sportello a fianco al mio c’era una persona anziana, la quale stava vivendo la classica esperienza di frustrazione che tante volte, tutti noi, viviamo quando andiamo a sbattere contro la Pubblica Amministrazione.
La poverina doveva ritirare dei soldi (forse la pensione, forse qualcos’altro, ma di certo si capiva che di quei soldi aveva bisogno), ma si trovava spaesata e completamente fuori posto nelle pratiche burocratiche e nei mezzi tecnologici del caso, tanto che sembrava quasi in stato confusionale. Ma non era mancanza di lucidità: era solo in difficoltà, in una cosa oltre la sua portata (perché sì, per tanti anziani anche ritirare la pensione è diventata una cosa aliena, anche solo la firma sul pad è una cosa che destabilizza) e chi aveva davanti non aveva la minima voglia di esserle d’aiuto.
Certo, lo sportellista delle Poste passa la sua giornata a dar retta a un sacco di gente spesso scortese, che pretende, che non ha rispetto del suo lavoro, e di sicuro è una cosa logorante. Ma è il suo lavoro, e nulla giustifica il fatto che quello specifico signore trattasse con sufficienza, al limite dell’insulto, la povera vecchina. La quale a tratti non capiva cosa stava succedendo e cosa l’operatore le diceva, a tratti sembrava disperare, a tratti visibilmente subiva l’essere trattata dall’alto in basso.
Mentre compilavo i miei stupidi moduli, mi chiedevo tra me perché la vecchina non mettesse al suo posto quell’arrogante sportellista (avrei voluto farlo io per lei!), perché non piantasse un casino, o perché non se ne andasse sdegnata mandando tutti a quel paese. All’inizio ho pensato che fosse perché era troppo remissiva, perché era la parte debole in quella dinamica, ma poi ho capito che la ragione era un’altra: lei aveva bisogno dei suoi soldi. Senza farsi condizionare dall’arroganza dell’impiegato o dalla difficoltà della situazione, quella donna saggia ha agito secondo il suo scopo: era lì perché le conveniva, perché aveva bisogno di ricevere quei soldi.
Era una cosa difficile? Il contesto la metteva a disagio o la faceva sentire inadeguata? Lo sportellista che le doveva dare i soldi era uno stronzo e la trattava in modo offensivo? Pazienza. Lei aveva bisogno della sua pensione. Il resto poteva andare al diavolo, mica era lì per fare amicizia con lo sportellista. Era lì perché le serviva qualcosa.
Mi piace immaginarla mentre tra sé e sé, mandando giù tutto, pensa “peggio per te che sei così arrabbiato con la vita. Ma ho bisogno di te per avere la mia pensione”.
Ecco, ripenso a questo aneddoto ogni volta che sento qualcuno che orgogliosamente racconta di essersi allontanato dalla Chiesa, o di non andare più a Messa, o di non confessarsi più da anni, “perché i preti sono xyz“. E al posto di “xyz” metteteci tutte le cose – vere o calunniose, non è rilevante – che ogni giorno sentiamo dire dei preti, dei vescovi, dei cardinali, perfino dei papi. Dalle più piccole a quelle più abominevoli.
Ecco: chi dice “non vado più a Messa perché i preti sono degli ipocriti”, “non seguo più la Chiesa perché il Papa non è abbastanza teologo”, “se ci sono i preti pedofili allora il cattolicesimo è una balla” non ha capito niente. Ma proprio niente, nel senso che proprio ha mancato il punto. Fa come l’ipotetica vecchina che non va più alla Posta a ritirare la pensione “perché l’impiegato mi tratta male”. Brava. E chi ci perde? Forse l’impiegato si dispererà perché non ti vede più far la fila nel suo ufficio postale? Naturalmente l’unica che ci perde è lei, che rinuncia alla pensione perché non le piace il mezzo con il quale la può ottenere. E quando non avrà più soldi per fare la spesa, davvero potrà andare in giro a dire che è colpa dell’impiegato poco gentile?
Ragazzi, non scherziamo: l’insegnamento della Chiesa, il sacramento della riconciliazione, ricevere carnalmente il Corpo di Cristo (fino a introdurlo dentro di noi, a digerirlo fisicamente) sono la nostra unica possibilità di salvezza. Ma mica solo la salvezza eterna, quella cosa che ci sembra troppo lontana per essere un problema di cui occuparci oggi: parlo proprio della salvezza quotidiana, della possibilità di vivere una vita piena e felice, di alzarsi al mattino col desiderio di vedere cosa bolle in pentola oggi invece che con l’angoscia di una nuova giornata senza senso. Come mi dice sempre il mio direttore spirituale, la confessione frequente e l’eucarestia possibilmente ogni giorno sono la condizione necessaria per vivere, altrimenti andiamo allo sbando.
C’è gente, in tante parti del mondo, che questa cosa l’ha talmente chiara che rischia materialmente la vita ogni volta che va a Messa. E succede oggi, mica parlo delle persecuzioni dei romani. Gente che è disposta a lasciare orfani i suoi figli per non rinunciare all’unica cosa che può tenere insieme la vita che altrimenti andrebbe in pezzi.
Quando sento parlare delle “chiese vuote”, della crisi di fede, del calo delle vocazioni… mi si stringe il cuore non per i poveri preti che non sanno più a chi fare la predica. Non per “i numeri” della Chiesa, quasi fosse una multinazionale che perde clienti. Mi si stringe il cuore per tutte quelle – sempre più numerose – persone che rinunciano ad andare a ritirare la pensione perché l’impiegato delle poste non gli garba. E che finiranno per morire di fame, e non si renderanno nemmeno conto che accade perché non hanno soldi, e che quei soldi erano lì ad aspettarli, bastava andare a prenderli ogni volta che potevano.
Poi ovvio che la Chiesa non è un ufficio postale, che la fede non è un bollettino e che i sacramenti non sono l’assegno mensile della pensione. Ma soprattutto che i preti/vescovi/papi non sono semplici impiegati che dispensano ciò di cui abbiamo bisogno. E questo rende più drammatica la responsabilità di chi, nella Chiesa, tradisce la sua missione. Ma il punto resta lo stesso: non è affar nostro se il prete è uno stronzo: quella assoluzione, quell’eucarestia, quell’unzione, non ce la facciamo togliere da nessuno. Nemmeno dai terroristi col mitra, figuriamoci dalla simpatia del sacerdote o dalla sensibilità del Papa.